Io scendo dal suono in ogni momento di speranza, ogni qualvolta che mi chiami. Mi rombano i sogni a seminarli nei solchi dei ricordi. Tutto è a rovescio, m’invadono le misure dei silenzi. Ti hanno messo agli occhi e alle labbra la cerniera del tacere.
Chiudo nella mente le visioni più arcane. Riempio i pensieri di orchestre magistrali. Le tortore delle torri scendono a tubare l’amore. C’è sempre una torre di Babele in questa nostra società. Murmure è labbra che vuole osannare. Provvisoria è la voce del tempo. Meditando sui monti ho raggiunto l’universo, dove tu splendi.
L’autunno mi armonizza sinfonie di foglie. I rami stecchiti tacciono d’inverno. La luce non gioca più a scherma con la luna. Coloro il tempo di pioggia e di rugiade. L’aria è grigia come il ferro. Mi restano dentro pietre sconvolte e bruciate dal fuoco a divenire brillanti.
Le zanzare sono ronzii di fastidio, rassomigliano a donne e a monsignori. La croce si è spaccata, il silenzio è entrato negli occhi, è fiorita la ruggine dalle omelie fatue.
Il vangelo con le tue spiegazioni é divenuto marmo. Pregherò prima che ti urli bufera. Il vento ha atrofizzato le ali della speranza.
Chi odia, ha il volto a squallore di cera. Le foglie che cadono, picchettano i vetri alle finestre. La lentezza del pensare ha avvolto il cielo d’inerti. I gabbiani abitano le nicchie dei santi. Le trecce sciolte sulle spalle hanno sventolato desideri di splendori.
Io so l’origine della vita, anche se la mia non so da dove venga. L’origine di un cognome è sempre lontano. La mia anima è ancora prigioniera, riceve soltanto fessure di luci.
Più ti cerco e più ti desidero. Non giungerò mai al fine, se pure il tuo amore non permetterà. Vivo unito a te solo con un fiato. Non mi lascio imporre di nuovo il giogo della schiavitù dei dubbi. Io scrivo con la luce che mi rivela tutta la verità nascosta nei silenzi.
Per alcuni frati due sono le certezze: il paradiso e il cibo. La prima la tengono molto lontano. La seconda è di ogni giorno. Non è vero, ma ci credono. Non vivo senza freni. Niente speranza, niente paura. E’ il motto dei pittori seguaci di Caravaggio che scrive il suo nome nel sangue. Non mi arrivano più addosso le tue pietre appuntite. Le disintegra la luce del bene. Io trasformo in persone sacre le vite più squallide e più tetre.
Trascino i poveri dentro la luce a vestirsi di divino. Io rendo il fulcro della mia vita il peccatore e non il santo. I malvagi ancora oggi, come a san Bartolomeo, strappano la pelle agli innocenti e la friggono nell’olio. Mi sono arricchito di affreschi, di quadri e di sculture. Il mio animo è più ricco dei musei di Peggy Guggenheim. Io annuncio il vangelo in essere per la povera gente. Sono l’evangelista degli straccioni. Non vivo nella pelle sporca di denaro. Mi avvolgo con gli stessi stracci dei poveracci. Io dipingo il dorso delle spalle e le dita dei piedi sporchi.
Ho dipinto il mio spirito a sguardo di una dolce visione. Nei tuoi occhi c’è tutto il paradiso che Dio vuole che io sono.
Sono l’evangelista degli straccioni e il mio vangelo è il passepartout del cielo.
Padre Paolo Turturro