Quest’anno, caro Gesù, non vuoi nascere nella culla dell’umanità. Come allora, non sai quale culla ti aspetta. Non c’è più fieno d’innocenza. C’è troppo buio nei depositi dei parcheggi di ogni banca. Troppa solitudine nelle baracche degli immigrati e dei terremotati. La solitudine non offerta crea paura e i nostri palazzi sono gabbie di sospetti. C’è poco da scegliere tra i rifiuti degli scarti. Sei troppo piccolo a poter redimere i misfatti del nostro secolo. Vibra il tuo vagito, così esile, così sprovveduto. Non puoi tacere. Tace, chi smette di amare. Tace, chi smette di sperare. Palpita il tuo cuore, per chi fa del male. Forse stanotte la cometa non apparirà. Da troppo tempo è sparita sull’orizzonte dei popoli. Il cielo è gelido, muto sugli aspri sentieri d’Istanbul, del Cairo, della Siria, di Tokio e di New York. Spenta è la stella della speranza. Non so volare sul computer e la terra non sa più leggere il cielo. I tuoi messaggi sono lontani e difficili da recepire. Non sai dove nascere, ogni dove è un deserto. Non c’è una pista pulita, per chi scende dal cielo. C’è il rischio che si sporchi, chi scende dall’alto. A domani, Gesù. Dipax