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Il guardiano del faro
“Morte a che fare,
più presto quanto sia.
Le mie parole sono gocce di miele
a soccorrere chi è caduto.
Chi spera
è un libro aperto,
le cui pagine sono nutrimento dello spirito.
Pagine che volano lontano,
pagine che spiegano colombe
a superare le tempeste.
Ogni pensiero è una pagina
che il vento semina lontano.
Un seme a divenire universo”.
Così remava pensieri il guardiano del faro,
sul suo diario scritto dai gabbiani.
Si arrampicò sul torrione il suo amico architetto.
“Sali, disse il guardiano, stai attento ai gradini,
sono di legno e alcuni fracidi.
La ringhiera è di ferro arrugginito di salsedine di mare.
Quassù il tempo è lontano
e spumeggia amarezza ai marinai.
Entra nella calotta del faro.
Qui dentro il clima è tranquillo.
Sono lontano quelle bufere dannose
e non mi stresso di cronache nere”.
“Che spettacolo quassù, meravigliò l’architetto.
Il vento tace e il faro saetta sicurezza
ai lontani con la sua luce.
Sotto gli scogli spumeggiano i soccorsi.
Attorno volteggiano i gabbiani
e non sanno quanti secoli
ha respirato il faro”.
“Le onde del mare, concluse il guardiano,
sono un televideo di quello che succede
oltre il tramonto dei giorni.
Quassù leggo soltanto
i respiri del cielo!.
Paolo Turturro
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