Giuseppe
mi stava sempre accanto. Gli abbracci mi davano sicurezza. La sua felicità era la mia. Stretti nel nostro letto progettavamo Ieshu. Soffia e vieni fuori, Ieshu. Spingi su. Non tardare. Esci, vieni a liberarci. Quel nostro letto era una pergamena. Tutto scrivevamo sulle nostre lenzuola di carne. Ogni notte un volume. Ogni notte un rotolo. Ogni notte una sinagoga. Mi toccava le labbra e portava con il suo fiato il profumo del suo pane. Quanto dialogo con nostro figlio. Quando dialogo di carezze al mio pancione. Tu, Ieshu, sei pasta cresciuta senza lievito d’uomo. Ti tocco e porto al mio naso il profumo del tuo pane che a tutti un giorno spezzerai. Ti tocco e sento le vene vibrare di cammino lungo i secoli di amore e di perdono. Ti tocco e mi canti il grazie del creato. Benedite cieli. Benedite firmamenti. Benedite acque che presto si romperanno. Oh! Le mie acque. Benedite stelle che presto annuncerete la novità di Dio con noi. E tu, Ieshu, ti capovolgi di gioia e non vedi l’ora di uscire da me per essere non solo pane tra noi. Quanti calci, così forti da raggiungere persino il mio cuore. Tu sei sotto il mio cuore. Le acque del mio corpo ti tengono stretto alle mie membra. Ti stai nutrendo tutto di me. Giuseppe attende per farti bere il latte delle sue capre. Fa presto, Ieshu, non tardare. Dal mio ventre viene tutta la tua stirpe. Ti raccomando sii forte dinanzi al male. Sii, libero dinanzi al cielo e alla terra. Donaci il pane della tua casa. Pane e offerta per gli uomini che Dio ama. Temo che la tua offerta sia totale. Sento che già non sei più mio. Ti stai nutrendo bene di me per essere Figlio, figlia, padre, madre, fratello, sorella per l’umanità. Sogno il tuo volto. Forse rassomiglierà a quello di Giuseppe. Oppure a ogni padre del mondo. Figlio, abituati al deserto, dove solo il cielo è ombra. Figlio, abituati al vento, per suggerire le cose di Dio. Figlio, abituati al fuoco, per bruciare la pula della mente di ogni uomo. Figlio, Figlio, Giuseppe, nella sua bottega, oltre la culla, ti ha preparato un ventilabro. Con la pala del tuo spirito getta nell’aria di Israele il grano delle tue beatitudini. Figlio, che hai? Perché mi calci ancora? So che la tua giustizia ci porterà in alto. Soffia figlio. Spingi figlio. E’ ora della tua luce. E’ l’ora di Dio.
Paolo Turturro
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