Nei tuoi occhi
ho scoperto
dov’ è nato il mondo.
Io riuscirò di nuovo
a fare abbracciare
il cielo e la terra.
C’è sempre un vulcano
dove si annida l’eruzione
di ogni maledizione,
un cratere che non dorme mai.
Io sono quell’operaio
dell’ultima ora.
Mi piace vedere gli altri sudare,
non voglio sporcarmi
le mie fragili e diafane mani.
Il tuo unico e generoso denaro,
di primo conio,
mi ha fatto cambiare idea.
Ora sudo l’Apostolato della preghiera
e custodisco cespugli di teologie,
penetranti
nelle vene dei miei rigetti.
Io ti ho rinnegato per paura
della vergogna del pianto.
Quel gallo mi ha sempre inquietato
e punito nelle mie notti oscure.
Io sono sulla strada del fango,
mi sporco la mente,
tuttavia aspetto che tu passi,
ho con me
un vecchio e consunto fazzoletto,
slabbrato di lacrime,
per detergerti la faccia.
Io ho sentito la tua parola
morire lontano da me
e ho taciuto
la tua croce e la tua morte,
perché non voglio mai seppellirti.
Ora però, tutto solo,
veglio l’eucaristia,
vera nascita nella mia carne,
vero Natale nel mio ventre.
Il mio corpo è il tuo tabernacolo,
aperto, trasparente
come un ostensorio,
mai blindato di potere e d’oro,
come a morire d’asfissia.
Io ti celebro
sull’altare mio corpo,
vero tuo corporale,
Natale della mia carne.
Ora tu sei mio figlio
e padre del mio stesso cuore. Dipax