Dialogo d’amore – 9

La tua pazzia è stata la mia carne

e ora vivo della tua estasi.

Io, non cieco nato,

con gli occhi sfuocati

dal dolore e dalle lacrime

vivevo l’inerzia della fede

e tu m’illuminavi a credere

all’impossibile della liberazione.

A Gerico contemplavi

tutto solo

le colline sagomate

di luce calda di tramonto.

Dal cielo sei sceso a Betlemme,

per essere massacrato di sangue.

Ti prego non ritornare,

ti ucciderebbero ancora.

Tu sei quel Servo

del Grembiule della chiesa.

Tu sei quel Samaritano

che i sacerdoti e i Leviti

si vergognarono di essere.

Io ero quel Levi

sulla vetta

dei miei orgogliosi pensieri

e tu sei asceso

nelle mie viscere

a rovesciarmi di Dio.

Io ero quel pozzo di Giacobbe,

sempre pieno di orgoglio

e tu, nella mia sterilità,

mi hai consacrato

di Spirito e Verità.

Io ero quel fico secco

senza frutti

e hai avuto pazienza

a germogliarmi

di rigogliosi sapori.

Io ero quel cieco

ad aspettare l’eterno

ai bordi del tempo

e tu mi hai tuffato

nel battesimo di salvezza. Dipax

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