Il pastore professore
“Tu mastichi cattiverie a infettarti la bile. Siamo così distratti da non accorgerci del dolore degli altri”. Così ammoniva il professore ai suoi alunni dell’università di Giurisprudenza di Firenze. Si chiamava Carlo, figlio di un pastore della Majella. Pascolava sul Monte Amaro, aspro di fiori e carico di gramigna e di sulla. Leggeva il cielo negli occhi degli agnelli e beveva frescura alle sorgenti dei torrenti. Imparò a leggere e a scrivere sui banchi della natura. Fu l’amico di suo padre, l’arciprete don Santo a scommettere sull’intelligenza del pastorello. Frequentò la scuola media a Chieti e il liceo scientifico a Pescara. S’innamorò di Ignazio Silone, autore di Fonteamara, l’Avventura di un povero cristiano e la Scuola dei dittatori, pagine dure e aspre che gli aprirono la mente da impazzire a iscriversi in Giurisprudenza.
Non sembra vero che un pastore possa guidarci a crescere nei diritti di ogni uomo. I suoi alunni appresero ad amarlo soprattutto negli esami, retto fino in fondo, a non piegarsi a nessuna richiesta di raccomandazione. Ripeteva sempre: “I cafoni dei miei monti sono più saggi dei professori di Diritto, perché nei pascoli non sforano mai i foraggi dei campi altrui”.
Concludeva ogni lezione:“Si può vivere liberi anche in un paese di dittatori, a una semplice condizione, basta lottare contro la dittatura”. Dipax