Nel mio scrivere c’è sempre il richiamo alla coscienza. Molti l’hanno persa, senza sapere di averla, è mio compito riseminarla. In chiesa spetta a me leggere ad alta voce, perché io stesso, solo, mi ascolti. Mi sento ancora unto a fasciare gli spezzati di cuore e agli incatenati di mente spalancare lo spirito. Nel leggere la parola del Nazareno, a volte, mi capita di sentire che quella profezia scritta nei secoli, riguarda proprio me. I piccoli della pace adorano liberamente, senza gerarchie, senza ranghi di appartenenze, un gruppo misto di donne e di uomini, anziani con giovani, benestanti con miseri e tutti siamo felici di essere con Cristo. Quanti anni di pellegrinaggio della mente, zingaro del sapere. So poco e quasi nulla. Mi rammento a rampicarmi sui volumi dell’universo. Nulla è scritto, tutto è respiro e tutto si conosce amando. Io vivo nella terra promessa che si chiama coscienza. Adamo ed Eva, due corpi usciti dall’Eden, ma il loro spirito è rimasto vergine nelle acque del Tigre e dell’Eufrate. Il nostro spirito è di Dio, non può uscire da Lui, non è del tempo. Noi abbiamo dato tutto a Cesare e quasi nulla della nostra vita a Dio. Conosciamo poco di Cristo e quel poco l’abbiamo demandato a monaci e a preti. Al termine della mia corsa mi sono dato una frenata al tempo e ho slanciato il cuore all’eterno. L’eterno è presente in me e non mi sento fuori del tempo. Scrivo l’invisibile che è dentro ciascuno di noi. Io so di non arrivare alla meta. Sono certo però che qualcuno mi porterà al confine del bene, perché tutti noi siamo fatti di amore. Io so amare ciò che la carne non può. Si spacca il fronte delle chiese. Inizia la battaglia degli ortodossi, inizia la sconfitta del vangelo.
Paolo Turturro