È proprio vero, carissimo apostolo Paolo, “hanno incatenato me, ma non la Parola di Dio”. Scorrono in me fiumi di acqua viva. Dentro l’eremo del pianto di Altolia ti ho visto scendere, per sollevarmi dalla depressione del cuore. Torrente di salmi era il mio spirito. Trascinato alla deriva, senza capire il senso del divino. Ho sprecato le tue carezze e il tuo pane, ho scosso il capo al tuo progetto. Torco tuttora le labbra alla tua Parola, non capivo che mi volevi tutto nel tuo costato. Io preferivo l’aria fresca dei perché. I dubbi, un inutile infinito. Anche l’uomo ha rantoli di disperazioni. Il cuore, voce di una grandezza libera, non voleva imprigionare l’anima solo di sacro. Ho cancellato le orme e i battiti del tuo cuore, per sentirmi libero, io che m’incatenavo di fatui ricordi. L’innocenza è nemica del male e non potevo lassù, nell’eremo della sorgente, insecchirmi di sete e d’inerzia. Lassù, ai tuoi piedi, grondanti non solo di profumo, ho assistito all’agonia del peccato. Mi hai fatto volare su ali d’aquila, io che conoscevo solo la polvere delle strade. Ero sulla sabbia delle opere umane, sabbia che non pensa e che si muove soltanto con il vento delle mode. Tuttavia non ero un’onda sbattuta dall’inutile. Non ho avuto compassione del tuo pianto. No, non mi sono intenerito del tuo volto spasimante ai mie piedi, a terra di sconforto. No, sono rimasto di marmo dinanzi alle tue piaghe doloranti. Che corazza di cuore freddo avevo dinanzi a te, io che da te cercavo affetto e comprensione. Tu non mi hai rimproverato un solo istante, io che ero gelido dinanzi al tuo morire per me. Ora rimango saldo in quello che hai sofferto. Non mi lascio più cadere le braccia. Sento pesare le mie mani d’impossibilità e di stanchezza. Ho sperato poco, perché ho creduto solo al mio pianto. Eppure non mi hai fatto mollare. Mi sono fondato sulla tua roccia. Mi hai mandato sempre qualcuno, in questi lunghi anni, a reggermi le braccia, le mani e la mente. Rimango saldo in ciò che ho appreso nell’infanzia da mio padre saggio e da mio cugino martire. Mi sono formato, con il silenzio dell’innocenza, alla comprensione che sempre mi ha seguito. Tu hai risposto sempre alle mie invocazioni. Anzi mi hai scongiurato ad annunciare, a scrivere, a scrivere lettere da ogni dove. La prima dall’eremo della sorgente di Altolia. Ora mi ammonisci ancora. Rimproveri il mio tacere. Mi esorti alla luce della tua Parola. Dottrina non hai, tu che ami sempre e soltanto. Oh! No, tu non mi fatto giustizia, perché ti sono stato molesto. Ti ho importunato mille e mille volte e altrettante volte mi hai chiesto di rifarlo. Non mi hai fatto aspettare a lungo, nello spirito. Hai trovato in me quella fede che altro non è che il mio povero amore per te.
Prontamente nello spirito, mi hai dato forza.
Prontamente nello spirito, mi hai dato coraggio.
Prontamente nello spirito, mi hai dato costanza.
Prontamente nello spirito, mi hai perdonato e mi hai insegnato a perdonare.
Prontamente nello spirito, mi hai dato perseveranza.
Io non potevo non risponderti, se pure con la mia poca fede, che altro non era che l’amore più grande che il mio cuore poteva palpitare.
Oggi ho chiesto a tuo Padre di poterti abbracciare, come Francesco sulla croce.
Tu mi hai fatto di più: sei divenuto mio sangue e mio corpo, e tu, Padre, sei venuto ad abitare dentro lui e dentro me.
E’ stata la sorgente di Altolia a ossigenarmi per primo il cuore dentro il tuo cuore. Tuttora, sulle rocce di Monte Pellegrino, respiro il suo profondo silenzio.
Paolo Turturro