Ho terminato la tela del perdono. E’ un capolavoro. L’ho scolpito nel coro dell’Abbazia di Noci. E’ affrescato nella cappella di santa Rosalia. La luce della sorgente d’ Altolia me la irradia di pigmenti divini. Quassù sulle rocce dell’eremo del silenzio emigro dai miei dolori, depositando i perché. Sono rapido dal tacere dentro un’indicibile sinfonia di canti dei secoli di poeti. E’ mio dovere risorgere e schiodare gli empi dalle croce delle loro ingiustizie. Non hanno lacrime da poterle asciugare. Sono il custode delle vostre amarezze. Sono il redentore di ogni fiore spezzato. Sono il Galileo delle ali tarpate. Saetto nel vuoto il mio urlo. Cadenzo nella mia voce tremula tutta la mia attesa. Modulo il sospiro nella speranza. Ritmo i secoli di musica e di versi. Rallento le lacrime a non piovere dolori. Troppo ho patito virtù. Non ho tempo a guardare le mie piaghe, quando attorno a me imperano tumori. Per me è troppo sorridere alla vita che in prigione non muore. Per me è troppo che tu mi doni un tenero sguardo di sostegno. Per me è troppo un libro che mi regali, come un guanciale di sapere. Respiro frecce che tu troppo facilmente saetti. Io sono pelle e ossa e in me la primavera tarda a venire. Forse si è perduta nelle boscaglie delle tue cattiverie. Ma io non rinuncio alla primavera del sorriso. Confido nella luce che Cristo ha irradiato da sotto quella grossa pietra. Vibro lontano la mia esistenza. Io vivo ancora la verità che non ha ragione e non ragiona. Io non sono un peso per Dio e Dio non è un peso per me. Sulla terra non ho nemici e la pecora ha fatto pace con il leone. Il ghepardo salta sulle mie spalle e vuole essere pascolato come l’agnello. Stritolo demoni con le piaghe del risorto. Sono un vuoto che pesa tanti perché. Io non ascolto la cloaca delle bestemmie. Elevo d’impeto una preghiera di perdono. Il paradiso di Cristo non è un recinto, un giardino chiuso per pochi. E’ aperto più dei serti di Ciro, cantati da Lisandro. Non è un giardino di piante e di fiori, di limoni e di aranci. E’ il giardino dell’anima. E’ il giardino che profuma di umiltà. Umile è la voce di Dio. L’umiltà è l’energia cha dà sussistenza alla creazione. Magnifica anima mea, Domine. Magnifica anima mea, esulta e magnifica. Urla e magnifica. Urla e esulta nel mio spirito. Urla e magnifica. Non sempre è pulito il mio verso e le mie parole a volte sono pietre. Le mie mani, foglie d’autunno. La mia voce è senza note. Magnifica, anima mea, nel tuo ventre è l’umiltà di Cristo. Solo le rocce, stamane, comprendono l’acuto del mio cuore. Parole inerte, parole strazianti, brandelli di perché. Solo le aquile poiane mi planano il panorama della risurrezione. Ti rialzerò, è l’eco che scende dal cielo. Con loro io vado sempre più profondo nello sviscerare il giorno che non muore. Quassù le vesti sacre non mi coprono le nudità della vergogna. Sono l’acuto di ogni tuo dolore. Quassù sono una stella alpina che nessuno sa più cogliere. Sono nel burrone più profondo. Le mie radici hanno sfondato il fuoco del ventre della terra. Non ho più istinti e i poeti d’oggi non hanno più canti. Rap è la loro monotonia. Nei carmi morta è la speranza. Nessuno ha più un tenero bacio. Nessuno ha più sguardi di gioia. Quassù libero finalmente l’anima. Ora è sulle strade dei derelitti. Ora è lenzuolo a coprire le ferite del peccato. Ora è pane a nutrirci di Dio. Ora è calice a sorseggiare Cristo che ci ama. Ho ritrovato il filo della matassa dei perché. E’ Cristo il filo che salva. Il gomitolo del vangelo ora tesse chiaro la tela del perdono e della mia serenità. Magnifica, anima mea. Esulta e danza nel coro di ogni basilica e di ogni monastero. La tela è completa. E’ un capolavoro d’arte. Non c’è Penelope che possa scioglierla. Magnifica, anima mea. Esulta, spirito mio. Mi ha sedotto il Signore, amante della vita. Ora non domando più alle sorgenti e agli astri: “Dov’è Dio”. Io l’ho veduto, non più da straniero. Quassù l’ho veduto, io stesso l’ho veduto, mentre i miei giorni emigravano lontano, come ombre nell’Ade. Quassù, chiuso in me stesso andavo e un angelo è salito e mi ha dato una mano. Sono risorto felice con le sue ali.
Paolo Turturro