Memorare il tuo canto nei secoli. Memorare il tuo magnificat, non sono a Nazareth. Io impazzisco alle nenie per il tuo piccolo Gesù. Nada te turbe, Virgo Maria. Nada me turbe, omni die.
Dentro ho l’eredità del fascino antico e della sfida degli onesti. Amici, l’ardire fa bene. Amici, non posso andare via dal dolore, ci sono cose più grandi della nostra felicità. Il mondo sta diventato buio per capire. Non c’è più luce e io sono già al terzo giorno. Io riconosco che, per rinnovarmi, attingo forze ed energie dal Crocifisso. Nelle nostre città i palazzi sono muri l’uno all’altro, barriere di persone ostili. Quel crocifisso la sa troppo lunga, per perdere. Noi abbiamo congelato il lievito della sua Parola, ma Lui fermenta lo stesso. Il fuoco non può essere congelato. Paradiso, gloria. Mi sono costruito la scala dello spirito e sono salito a deporre il corpo della verità. Ringrazio il sogno di Giacobbe. Sul mio taccuino ho disegnato una corona di spine, la tenaglia e il martello e i vasi con gli unguenti di ogni secolo, per ungere qui sulla terra le membra del risorto. Sento la derisione del mondo, come la lingua infuocata che esce dalla bocca del leone, a divorare gli innocenti. Mi basta il risus paschalis, che attendo alla fine di ogni esilio. Basta, io canto la letizia della risurrezione. Basta a flagellarmi. Basta a inchiodarmi. Basta condannare Savonarola o altri martiri del dissenso. Basta, troppo flagellato è il nostro spirito. Troppa insanguinata è la nostra anima. La mia lauda è l’unità. Unità e pace per tutta la creazione. Unità e pace tra l’agnello e il lupo. Nessuna insegna incorona il nostro capo. Il mio canto è in sordina per la carità degli ultimi. I miei giorni sono: lodare la misericordia, studiare, formare, dipingere e scrivere. Se dovessi versare tutto l’inchiostro usato per aver scritto volumi, scorrerebbe un ruscello a tuffarsi a mare. La mattina mi spera sempre qualcosa. Io preferivo, da ragazzo, entrare da solo in cattedrale. Mi soffermavo dinanzi ai due discepoli di Emmaus della Pansini. Cristo al centro a spezzare il pane, senza fuggire lontano. Non sopportavo che l’Addolorata, telata di seta e di nero, avesse ancora una spada pugnalata nel petto. Io gridavo agli angeli, così ben scolpiti sull’altare dell’adorazione, a muoversi a toglierle quel pugnale, pur d’argento. Giù, nella cripta del Sacramento, il priore della confraternita mi mostrava orgoglioso l’ostensorio d’oro e d’argento di stile napoletano, conservato con rigore nei secoli. Stimavo il loro impegno ma odiavo gli incappucciati.
Sotto gli archi di via Lecce si nascondevano tutti, per barattare il sacro con il profano. Nel buio degli angoli tracannavano vino. Il profumo del pane appena sfornato sotto gli archi, mi ingelosiva di eucaristia. Le vecchiette cantavano in ogni chiesa. Alla madonna del Carmelo sciorinavano nenie per benedire taralli e tarallucci. A sant’Andrea osannavano la vita di una bambina incorrotta, come ai Cappuccini di Palermo. Mi impaurivano gli scapolari che le donne nascondevano cuciti sulla pelle dei loro petti. Solo tu, solo tu mi puoi dare pace, o paese mio fatto a vangelo. Solo tu, solo tu mi quieti il cuore di nostalgia. Paese mio, quanto sei lontano! Non mi sei accanto in questa tempesta, non solo di mare. Benedette le tue vie che mi hanno custodito nelle edicole dei santi che, nei tuoi archi, non hai demolito. Nunc e in ogni ora mi accarezzi i riccioli dei miei sogni d’oro. Paese mio, quanto mi sei lontano! Basta, ho deciso, presto ritornerò da te. Non hai il colle dell’Infinito ma hai anche tu gli scogli dove biancheggia il mare. Il viale dei cipressi, al cimitero, è arricchito da edicole del Calvario. Poi quel cannone, sul mare dei militari, non è stato mai benedetto dal nostro don Tonino. Le tue case sono il Corpo dell’amore di Alda Merini. E’ colpa mia se ancora non sei splendida. Nelle tue strade, quante nenie nella notte del Natale! Quante lacrime nelle processioni del Venerdì santo! Le madri, con i bimbi al seno, cantavano lacrime di educazione alla fede. Solo tu, solo tu mi puoi dare pace. Eccomi, io ritorno, per amare la Vergine di Corsignano. Virgo Maria, accogli il mio venire al canto, non solo degli angeli. E’ lauda la tua abside, gloriosa di tele celestiali. E’ lauda il tuo rosone a paradisi gloria. Nessuna lacrima è dipinta sul tuo viso o scende dal cielo. Qui è la memoria del tuo essere cor- redentrice con Cristo. Qui è dolce essere tuo figlio.
Paolo Turturro.