« Il
giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco,
installata la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati
Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò
cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo,
beati i poveri perché il regno dei cieli è loro.
Quel
giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa
e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso».
E’ il grido di don Lorenzo Milani. E’ il ponte della luce e della cultura a unire i veri poveri nella conoscenza della verità e della bellezza del Vangelo.
La luce della verità e della carità è il ponte verso ogni persona. Nell’articolo: “Il muro di foglio e d’incenso”, don Lorenzo Milani propone un sentiero di cultura attiva sulla vita e non passiva basato sui testi. Un sentiero di non violenza nello scoprire le verità nascoste nella storia. Una storia finalmente scritta dai vinti. Un progetto attivo vissuto sul quotidiano dell’essere contadino, operaio licenziato e buttato in mezzo alla strada.
La didattica di don Milani mi risulta tutt’oggi attuale e vitale. Ancora oggi è valida la sua proposta:” … non distribuire pensieri prefabbricati ai preti, ma solo turbarli e farli pensare”.
Insegna le lingue con le canzoni di Bob Dylan e di Brassens, con vecchi registratori a nastro e con tanti dischi.
Esiliato a Barbiana, dal suo eremo del silenzio, ha il coraggio di dire in faccia sempre e a tutti la verità. Si attira le ire di cardinali, come Ernesto Ruffini per il caso del franchismo spagnolo, e di alcuni sacerdoti. Scrive don Antonio Santacatterina in curia, e a Florit: “Desidero esporre, per la prima volta, un mio desiderio. Don Lorenzo Milani lasci in pace la mia parrocchia”.
Tale lamentela sarà l’occasione di decidere da parte della curia fiorentina e di Florit di mandarlo in esilio a Barbiana, dove fonderà la scuola di un’ardita valenza internazionale, tanto che persino Erich From si interesserà al suo metodo didattico, vissuto nel quotidiano della vita delle persone, tramite giornali, racconti degli anziani e dell’osservazione della natura e della critica degli eventi quotidiani.
Qui nascono le sue più dinamiche lettere: “Lettera a una professoressa, Lettera ai giudici, lettera ai Cappellani”.
Vorrei proporre ai Piccoli della pace la lettura in comune e il commento su queste sue lettere, nei nostri incontri di fraternità, fuori dalla lectio divina, per donare oggi ai nostri poveri, che non hanno voce, la dignità di pensare e di essere persone.
Paolo Turturro