Ho radici penetranti nella memoria, profondi dentro la roccia di Cristo. Meditavo sulla spiaggia verso levante di Bari, dove gli anziani riparavano le reti, massacrate da pescecani. I pescatori accarezzavano le barche e le dipingevano con le loro lacrime. Seduti a gambe aperte interrogavano il tramonto che non rispondeva mai. Gli occhi non vedono il futuro, anche con gli occhiali. Facevano tutto a mano: reti, canestri per pesci e ricci di mare. Le insegne sulle barche costituivano una vera proprietà: barche a sirene, a cuore, ad asso di scopa, e bastimenti devoti con sacre Madonne. Non mancava il corno rosso appeso alla prua. I marmocchi s’aggiravano intorno a qualche remo, per riparalo. Giocavano a imparare. Le giovinette dondolavano a innamorarsi. Io chiedevo al pittore del paese di essere messo alla prova. La sua bottega segnava il balcone di Cristina la pazza, in via Celso. Un giorno mi diede pennello, tela e colori. Io non so davvero dove sia andato a finire quel veliero con le vele tempestose. Lui mi diceva che rassomigliavo a Edvard Munch. Io però disconoscevo quel urlatore. Sul sagrato della cattedrale discorrevo con le vedove che dimenticavano lutto e lacrime. Pino, l’artista, qualche volta, mi portava nel suo scantinato. Io mi stupivo del suo mare sempre agitato. Le onde uscivano dalla tela, onde sempre più anomale che coloravano persino la cornice. Spesso nel mio computer pigio lo zero, al posto della o. Penso che sia un’occasione per moltiplicare lo zero a cifre di denaro. Io però non ho creduto mai alle superstizioni, tanto più allo sterco del diavolo, che mi arrivò sempre più abbondante per le opere di carità. Pino, il pittore, aveva una barca e qualche volta mi portava al largo. Al ritorno al molo, io nascondevo, dentro l’anima mia, il castello abbandonato e il palazzo ducale diroccato. Fino a quando l’uomo sarà distruttore di se stesso? Lui con la sua barca voleva raggiungere l’orizzonte ma le muraglie l’ho richiamavano a riva, sicuro della loro fortezza, certo che tanti nei secoli avevano tentato di saccheggiare il paese e abbattere il bastione del tamburo. Tutto è dipinto nei miei occhi. A voi, medici del crimine, vorrei suggerire come scoprire l’assassino. Guardate nelle pupille di chi è stato ucciso. Pino preferiva il buio. Per amore del chiaroscuro egli dipingeva a lume di candela, come il Caravaggio, che imbrattava i colori mischiandoli con il sangue. La lingua batte, dove il dente duole, ma occorre trovare il verso giusto per l’estrazione di ogni molare e di ogni male. Laggiù, nel porto annegato, i pescatori bestemmiavano onde, mare e cielo, non solo perché i pesci spezzavano il nylon, portandosi nel fondale esca e amo, ma inviperivano parole e mottetti amari soprattutto per gli amministratori e per gli architetti che avevano armato e fatto, con i soldi del comune e della regione, annegare il nostro porto nuovo, tuttora alla deriva di ogni burrasca.
Paolo Turturro